Comincia con una scena che sembra uscita da un film del neorealismo: l’immagine rigorosamente in bianco e nero di un bambino di sei anni, compunto e affaccendato, a dispetto dell’età, a servire in un bar. Siamo a Bari nel primo dopoguerra e Giuseppe, il nostro protagonista, nato nell’agosto ’43, poco meno di un mese prima dell’armistizio, si impegna così a dare una mano alla sua famiglia, numerosa e poverissima, senza per questo smettere di studiare.
Non sa ancora che da quella scelta precoce e obbligata nascerà una passione destinata a segnare la sua vita: nel 1952, a 9 anni, promosso sul campo a garzone, trasporta brioches fragranti appena sfornate su lunghe assi di legno dal laboratorio al bancone, affollato di clienti già di prima mattina, di una rinomata pasticceria del centro, poi finalmente a 12 inizia ad impastare. E’ il suo primo, scalpitante passo da apprendista pasticcere. Le giornate sono lunghe e faticose anche per un ragazzo che nelle ore libere trova comunque il tempo di dedicarsi allo sport facendo sollevamento pesi: cominciano prestissimo, alle 6 per concludersi solo a sera, senza pause, senza riposi o ferie. Altri tempi, dicevamo, che oggi stentiamo anche solo ad immaginare. A perseverare lo spinge certo il desiderio di garantire il benessere alla sua famiglia, di costruirsi un futuro, ma anche l’aver scoperto un’autentica vocazione. E’ di sicuro un privilegio quando l’attenzione della mente e dei gesti parte dal cuore,quando il dovere del lavoro si mescola al piacere nell’eseguirlo. In questo caso il piacere della manualità, del gusto, della scoperta e dell’invenzione. Ma è un privilegio che esige curiosità, applicazione, pazienza, determinazione, qualità che a Giuseppe di certo non mancano. Quella stessa determinazione che lo spingerà, come tanti altri giovani meridionali, sull’onda della crescente insoddisfazione per un orizzonte ormai troppo ristretto e frustrante a cercare migliori condizioni di vita e di lavoro al nord.
E’ il 1961: quando approda a Milano, dove lo aspettano due fratelli già emigrati che gli faranno da sostegno, Giuseppe ha 18 anni. Se il primo lavoro come fattorino all’Alemagna lo allontana temporaneamente dal suo obiettivo, pur mantenendolo sempre nell’ambiente, la delusione è compensata dalla consapevolezza di essere nel posto giusto per realizzare il suo sogno di diventare a pieno titolo pasticcere. Lo aspettano ancora impegno e sacrifici – i turni di notte alla produzione industriale di panettoni della Frontini – in attesa di arrivare alla prima vera svolta, l’approdo alla pasticceria Alberici in via Morgagni, sotto la guida del titolare Italo, milanese doc, esperto produttore di panettoni artigianali e non solo. E’ un ulteriore apprendistato d’alto livello, una gavetta che gli consente di perfezionarsi, ampliando i suoi orizzonti sia nelle tecniche che nel gusto, e lo porta ad unire alla tradizione dolciaria nella quale è cresciuto, appresa sul campo da maestri pasticceri baresi, napoletani, siciliani, quella della sua città di adozione.
In prospettiva già una vetrina da sogno per il negozio che spera di aprire in un futuro non troppo lontano: dolci tipici (cannoli, cassate, baba’, pastiere, pasta di mandorla e amor polenta, torta walter) e lavorazioni classiche, come quella del cioccolato e la pralineria, panettone tradizionale milanese. Un autentico viaggio gastronomico tra sud, centro e nord. Mancano ancora i gelati, ma si aggiungeranno presto. E’ un momento particolarmente felice. Non solo Giuseppe ha compiuto un passo decisivo in ambito professionale, ma nell’estate del 1965, ritornato a casa per le vacanze, ha conosciuto Rosa, giovane commessa barese. Il sogno condiviso di creare presto una famiglia aggiunge ulteriore entusiasmo all’impegno quotidiano. Se proprio il matrimonio, celebrato nel ’68, lo riporterà per un breve periodo a Bari, nel maggio del 70, è di nuovo a Milano. L’obiettivo che lo guida negli anni che trascorre lavorando presso grossi nomi del settore come Rachelli – dove esordisce nell’arte della gelateria – Saibeni o la pasticceria San Babila è ormai ben chiaro: non più solo pasticcere, ma artigiano in proprio, titolare della propria attività.
L’occasione gliela offre il suo antico mentore, Italo Alberici, che, sulle soglie della pensione, è in cerca di chi rilevi l’attività mantenendone la tradizione e la qualità. La fiducia nei confronti del suo vecchio allievo è così grande da offrirgli generose agevolazioni pur di consentirgli di rilevare l’attività, ma si dimostrerà negli anni successivi più che ben riposta.
Dal 1976, data di quel passaggio di consegne, ad oggi la pasticceria, ribattezzata “Corcelli” dal suo nuovo, giustamente orgoglioso, titolare, non solo ha tenuto viva una tradizione, ma l’ha saputa costantemente rinnovare, ricreare, modellandola sulla personalità di chi ne è sempre stato l’anima e il motore. E’ stato questo a consentirle di conservare, attraverso i cambiamenti, voluti od obbligati, avvenuti in questi anni, i momenti felici e le crisi, le difficoltà, un’impronta assolutamente originale e caratteristica in un clima di crescente omologazione.
Si dice che il destino di un uomo sia nel suo carattere ed è inevitabile che questo si riveli nel suo lavoro. I dolci di Giuseppe Corcelli non sarebbero quelli che sono senza la sua passione, la sua pignoleria, il suo entusiasmo. Lo raccontano quasi altrettanto bene delle parole della moglie Rosa, che gli è stata vicina fin dagli inizi di questa impresa, e della figlia Francesca, che come i suoi fratelli Alessandra e Fabio prima di lei, collabora all’attività di famiglia, pronta a riceverne il testimone. Parole da cui traspaiono affetto, tenerezza e rispetto, mentre ne descrivono le frenetiche giornate nel periodo natalizio, alle prese fin dall’alba con le fasi canoniche di lievitazione dei panettoni, le trattative puntigliose su qualità e costi dei prodotti o le sfuriate con qualche fornitore distratto, la totale renitenza a delegare, tipica di chi sé fatto da sé, le fatiche quotidiane e le soddisfazioni.
Se la testimonianza scritta di questi suoi sessant’anni di lavoro è racchiusa nel quaderno dove sono trascritte e custodite tutte le ricette raccolte, sperimentate, trasformate e raffinate dall’esperienza, credo che il vero segreto del successo di quest’uomo e della sua famiglia – un successo misurato secondo canoni oggi desueti – stia in una frase detta da Rosa: “Siamo contenti perché ci piace il nostro lavoro”.
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